Teatro Manzoni per la rassegna “La Pirandelliana” presenta dall’11 al 28 gennaio 2018 “REGALO DI NATALE” di Pupi Avati per l’adattamento teatrale Sergio Pierattini, regia di Marcello Cotugno, Scenografie Luigi Ferrigno, Costumi Alessandro Lai e Luci Pasquale Mari.

Ethos andropo daimon (Il carattere di un uomo è il suo destino) – Eraclito

Nel suo saggio I giochi e gli uomini, il sociologo Roger Caillois suddivide i giochi in quattro categorie: agon o competizione, alea o caso, mimicry o maschera, ilinx o vertigine. Il poker, secondo molti, si avvicina all’idea del gioco perfetto, poiché racchiude in sé tutte e quattro queste anime. “Nulla come il gioco del poker vi rivela – sostengono il filosofo Pier Aldo Rovatti e il sociologo Alessandro Dal Lago nel loro libro Per gioco. Piccolo Manuale dell’esperienza ludica – la persona morale di chi vi sta di fronte (e la vostra a loro)”.

Le dinamiche che si sviluppano al tavolo da gioco, rimandano da un lato alla sfida eterna per il potere, dall’altra a una ancora più radicale sfida contro sé stessi e contro la morte.

Una riflessione su Regalo di Natale non può prescindere da questa breve premessa. Primo perché è un film sul poker. Secondo, ma in misura non meno importante, perché è un film sull’amicizia tradita.

Ci troviamo in una villa, dove, la notte di Natale, quattro amici che non si vedono da dieci anni incontrano quello che è designato ad essere il “pollo” da spennare: l’avvocato Sant’Elia (Gigio Alberti), un uomo sulla sessantina, ricco e ingenuo, che sembra addirittura trovare consolazione nel perdere.

In realtà è il presunto “pollo” a trovarsi di fronte quattro uomini che nella vita hanno giocato col destino e che, in un modo o nell’altro, hanno perso. Franco (Filippo Dini), imprenditore milanese di multisale in declino, spera nella serata per ripagare i suoi debiti; Ugo (Valerio Santoro), con cui Franco non parla da dieci anni, finge di essere al tavolo solo per far pace con l’amico a cui ha portato via la moglie; Lele (Giovanni Esposito), giornalista in eterna bolletta, vive all’ombra di Franco di cui cerca costantemente di conquistarsi i favori, e approda alla villa per cercare di dare un senso alla pochezza della propria esistenza; Stefano (Gennaro Di Biase) infine, simbolo di un’italianità costretta ad arrangiarsi (anche valicando il limite della legalità) spera in questo incontro per risolvere i propri problemi economici.

Tra Franco e Ugo però, i rapporti sono tesi; la loro amicizia, infatti, è compromessa da anni, al punto tale che Franco, indispettito dalla presenza dell’ormai ex amico, quasi decide di tornarsene a casa. La sola prospettiva di vincere la somma necessaria alla ristrutturazione del cinema lo fa desistere dall’idea.

La partita si rivela ben presto tutt’altro che amichevole. Sul piatto, oltre a un bel po’ di soldi, c’è il bilancio della vita di ognuno: i fallimenti, le sconfitte, i tradimenti, le menzogne, gli inganni.

Dietro il velo dell’ipocrisia, da questa partita giocata contro il destino emergeranno molte verità nascoste. D’altra parte, il poker è anche un nobilissimo gioco tra gentiluomini, un rito moderno in cui mostrarsi per quello che non si è, proprio come in una rappresentazione teatrale: quanto più la maschera è forte e impenetrabile, tanto più sarà difficile comprendere i nostri punti.

I soldi facili sono l’utopia inseguita dai protagonisti, in un crescendo di tensione che ci rivela mano dopo mano come, al tavolo verde, questi uomini si stiano giocando ben più di una manciata di fiches e come in questa notte di un Natale triste – illuminata da uno striminzito albero sullo sfondo – anche chi vince resta sconfitto.

Di questa tensione lo spettacolo si alimenta, utilizzando stili e forme teatrali eclettiche: dal naturalismo al monologo, fondamentale veicolo per comunicare al pubblico le piccole verità nascoste dietro la facciata del tavolo verde. La partita stessa, così presente nell’originale cinematografico tutto giocato su primi piani e sguardi, verrà tradotta nel linguaggio teatrale, assurgendo a un’astrazione che sottolinea, al di là di semi e colori, la centralità della dimensione psicologica e relazionale tra i personaggi.

Due le ispirazioni che caratterizzeranno la scenografia: il cerchio e il tempio. Il primo, rappresentato in primo luogo dal tavolo verde, è forma che ritorna nello spazio scenico come simbolo eterno del gioco e del destino, con i suoi alti e bassi, con la sua legge alterna che fa girare le vincite e la fortuna. Il tempio è quello del gioco a rievocarlo quattro piedistalli, ormai privi delle loro statue, eco lontano delle quattro anime di questa lotta senza tregua: alea, mimicry, agon e ilinx.

Cinque attori di grande livello si calano in una partita che probabilmente lascerà i loro personaggi tutti sconfitti, a dimostrazione di come alcuni valori fondamentali delle relazioni umane – amicizia, lealtà e consapevolezza di sé –  stiano dolorosamente tramontando dal nostro orizzonte. D’altro canto, già Aristotele, tra i primi filosofi a riconoscere il valore dell’amicizia (“l’amicizia è una virtù indispensabile all’uomo: nessuno sceglierebbe di vivere senza amici”), metteva in guardia gli uomini nello scegliere bene i propri amici, poiché interessi materiali possono facilmente prendere il sopravvento sul sentimento.

Con la sua stringente contemporaneità e la sua universalità fuori dal tempo, la parabola di Regalo di Natale è allora il trionfo del singolo sul collettivo, è la metafora del successo di uno conquistato a spese di tutti, è il simbolo di una teatralità doppia e meschina, è un’amara riflessione su come stiamo diventando. O su come forse siamo già diventati.

Se il poker è lo specchio della vita, il teatro è il luogo dove attori e spettatori si possono rispecchiare gli uni negli altri. E due specchi messi uno di fronte all’altro generano immagini. Infinite.