È uscito lo scorso 21 settembre Gioventù Bruciata (Island Records), il primo EP di Alessandro Mahmood. Giovane cantautore italo egiziano, nato e cresciuto nella periferia di Milano, che nel 2012 all’età di 17 anni aveva già calcato il palco di X Factor e nel 2016 era in gara a Sanremo tra le nuove proposte con il brano “Dimentica“.

L’EP racchiude temi intimi ed universali, vanta una collaborazione con Fabri Fibra e spazia tra le produzioni urban di Ceri, MUUT e Katoo.

Gioventù Bruciata richiama la mia generazione, come ho vissuto io la mia gioventù. Parla molto del mio percorso di vita. Il titolo si ispira in parte anche al film di James Dean Gioventù Bruciata in cui il  protagonista possiede una malinconia innata, sempre presente, ed io questa malinconia me la ritrovo spesso addosso, la sento sulla pelle. Sono uno che collega molta l’immagine con la musica: non a caso sulla copertina di questo EP ho voluto richiamare la scena cult di questo film, quella in cui lui si appoggia la bottiglia di latte in faccia. Ho reintepretato la scena facendo cadere il latte per terra. Lui in quel caso si appoggia la bottiglia di latte in faccia perché aveva fatto a pugni, il mio invece è quasi un modo per dire “non abbiamo più neanche voglia di fare a pugni”. Vuole comunicare una sorta di arrendevolezza, ecco.

Sulla cover dell’EP anche diversi richiami alla cultura orientale, come il cerchio rosso sulla fronte dello stesso Mahmood o il Pokemon sulla maglietta. 

Ho sempre avuto questa passione per la cultura orientale, sin da piccolo ero appassionato di manga, anime, video games giapponesi. E’ stato un mondo che continua ad accompagnarmi ancora oggi. Ed il pezzo Asia Occidente viaggia proprio su queste linee parallele, tra musica e immagini.

Il singolo attualmente in rotazione invece si chiama Milano Good Vibes.

Ho scritto questo pezzo quest’estate perché ho passato gran parte della mia estate a Milano. Ho avuto modo di vedere la città deserta, una sera mi sono ritrovato in Piazza del Duomo alle 11 di sera ed era spaventosamente deserta. In un certo senso non avevo mai visto Milano così, era come se in quel momento si svelasse e si togliesse una maschera. Essendo nato e cresciuto a Milano ho inevitabilmente un rapporto strettissimo con questa città. Il brano quindi è una sorta di omaggio a questo lato nuovo e per me inedito di Milano.

Ma oltre a scrivere e cantare i suoi pezzi, Mahmood è anche la penna che si nasconde dietro a brani di successo come Nero Bali di Elodie o Luna di Fabri Fibra, per citarne alcuni.

Che rapporto hai con il songwriting, ti approcci in maniera differente alla scrittura quando lo fai per qualcun’altro? E ti aspettavi tutto il successo che Nero Bali ha riscontrato quest’estate?

In realtà ero molto incredulo. Per una questione di carattere parto sempre con aspettative molto basse, sono stato molto felice del successo inaspettato di Nero Bali. Sul rapporto con la scrittura penso che quando ti viene fuori qualcosa di strettamente personale è anche inutile passarla ad altri, sarebbe scorretto nei confronti degli artisti stessi. In linea di massima cerco sempre di mantenere una linea intima e personale per i miei pezzi, per quelli degli altri invece punto sull’immedesimazione: in cose che potrebbero pensare o dire in base alla loro età, al loro trascorso. Infatti cerco sempre di parlarci un po’ prima.

E la collaborazione con Fibra?

La collaborazione con Fibra è nata grazie a Paola Zukar che ho conosciuto due anni fa a Sanremo. Mi disse che sarebbe stata a Milano, abbiamo lavorato a qualche beat e mi ha fatto conoscere Fabri Fibra. Nella stessa estate in cui ho scritto per lui Luna ho colto la palla al balzo e gli ho chiesto di scrivermi due barre per il mio pezzo Anni 90. A lui il pezzo è piaciuto molto e me le ha mandate due settimane dopo. Reputo Fibra un grandissimo artista, lo stimo molto anche umanamente. Per me resta sempre tra i numeri uno.

A proposito del brano “Anni 90”, nell’immaginario collettivo chi ha vissuto l’infanzia / adolescenza in quel periodo tende sempre ad averne un ricordo positivo: l’era delle girlband e delle boyband, dei cartoni giapponesi, del Crystal Ball. Tu invece scrivi e canti letteralmente che “ci hanno fatto male”, come mai?

In quel pezzo porto il mio punto di vista, quello di un ragazzo cresciuto negli ultimissimi anni 90. Io scrivo che gli anni 90 ci hanno fatto male semplicemente per il fatto che siamo cresciuti un po’ con la pappa pronta, probabilmente è stato tutto più facile per chi è nato nel ’92 rispetto ai nostri genitori che hanno lavorato sin da piccoli. La mia adolescenza in quegli anni è stata bellissima, sicuramente ho un ricordo più che positivo, il problema è che non so se questa cosa ci abbia poi giovato negli anni 2000. Nel mio caso personale, la fame di fare quello che ho sempre desiderato l’ho sempre avuta. Guardandomi intorno però vedo gente priva di stimoli, quasi spenta, e penso possa forse dipendere dal modo in cui siamo cresciuti.

Facendo un passo indietro: nel 2012 hai partecipato ad X Factor nella categoria Under Uomini con Simona Ventura. Sei entrato a programma già inoltrato, pensi che la cosa all’epoca ti avesse penalizzato? Col senno di poi, avresti aspettato qualche anno prima di presentarti alle audizioni?

Ritengo che ogni cosa che ho fatto nella mia vita abbia creato un preciso percorso e degli stimoli giusti dentro di me, assolutamente non rinnego nulla di ciò che ho fatto. Resta il fatto che X Factor è X Factor: l’unica cosa di cui probabilmente a 17 anni non ero cosciente è che quella era principalmente televisione, forse non ero ancora pronto per quello. Ero un ragazzo a cui piaceva cantare, allora neanche scrivevo tantissimo, ho sottovalutato l’aspetto televisivo. L’esperienza mi ha formato, nonostante sia stata un po’ traumatica devo dire – da ragazzino ti aspetti chissà che e poi ti ritrovi ad affrontare tutto l’opposto.

E Sanremo invece?

Me la ricordo come un’esperienza strapositiva, soprattutto divertente. Credo che a livello di come stare sul palco mi abbia lasciato davvero tanto. Era la prima volta che portavo un pezzo mio davanti a così tanta gente e credo che mai potrò dimenticare l’emozione fortissima.

E quando chiediamo a Mahmood di puntare in alto con due nomi per delle collaborazioni utopiche, non esita a farci quello di Frank Ocean – con il quale per lui sarebbe un sogno scrivere – e Paolo Conte, “anche solo da poter risentire in live”.

 

Potete ascoltare l’intervista integrale a Mahmood nel podcast di freeCONTEnt 4×03 a partire dal min 25: