Sono passati quasi due anni e mezzo da quel 13 Dicembre 2013 che, con la release del primo album a sorpresa nel panorama mainstream del pop, ha stravolto definitivamente  le carte in regola sulle modalità e sulla concezione di pubblicazione e fruizione della musica.

Con BEYONCÉ, quinto self-titled studio album di Beyoncé Giselle Knowles-Carter, si son fatti i numeroni.
Doppio disco di Platino negli States e oltre 5 milioni di copie vendute a livello internazionale. Il visual album spianò la strada alla rottura degli schemini a cui “il sistema pop” era abituato: niente più lead single con relativo video ad anticipare il progetto e release radiofonica successiva alla pubblicazione.

Per quanto si temesse l’originalità dell’effetto sorpresa potesse avere una validità da “buona la prima”, artisti come Drake, Future e Erykah Badu hanno emulato la tecnica rilasciando mixtape mai preannunciati.
Unica pecca che ha visto il disco “piegarsi alle regole di mercato”, probabilmente imposta dall’inaspettato successo commerciale dello stesso, la strasdoganata riedizione (Platinum Edition) contenente un paio di inediti e remix – tra cui Flawless*** in coppia con la rapper Nicki Minaj.

E come spiazzare nuovamente il famigerato sistema senza scadere nella ripetizione e nell’emulazione di sé? Con la naturale evoluzione del visual album: il docu-film album.
LEMONADE, titolo del sesto progetto in studio di Beyoncé, è stato rilasciato ieri 23 Aprile 2016 in esclusiva sul canale americano HBO e (ovviamente) sulla piattaforma streaming Tidal.
A differenza del suo predecessore, qui risulterebbe piuttosto errato parlare di disco a sorpresa.
Una release date – quantomeno negli ultimi giorni – c’era ed è stata rispettata.
Il punto di rottura con BEYONCÉ è immediato, già sulla base di un first listen, sia sul fronte delle tematiche che su quelle del sound.
Definire il disco precedente “concept album”, alla luce di quello che è LEMONADE, è stato azzardato e approssimativo.

Se non lo avete ancora ascoltato, dimenticate la dimensione pressoché omogenea e urban a cui le varie Drunk In Love, Partition, Mine e 7/11 vi avevano abituato.

Un punto di congiunzione, a far da ponte, c’è e si chiama Formation. Ma non a caso è posizionata lì, in coda al progetto. Probabilmente perché Beyoncé è quel tipo di artista a cui non interessa la congiunzione, ma l’evoluzione. 
A questo punto della sua carriera, quando in cui evidentemente non c’è più nulla da perdere e ci si può prendere il lusso di “rischiare”, Beyoncé ha dato conferma di essere totalmente disinteressata ad offrire copy-paste di Crazy In Love o Single Ladies. O album dalla facile presa (se pur indimenticabili) come I Am… Sasha Fierce. D’altronde fare quel pop che il pubblico meno abituato alla crescita dell’orecchio tanto le implora, le costerebbe anche meno fatica. Di pezzi come Work From Home delle Fifth Harmony gliene saranno arrivati a palate durante la studio session. Ma qui c’è un evidentissimo intento di dare una sterzata al suo percorso.
LEMONADE incarna la poliedricità vocale e artistica di Beyoncé espressa alla massima potenza e spazia dalle sonorità quasi reggae di Hold Up, alle venature hard rock di Don’t Hurt Yourself in coppia con Jack White,
senza rinunciare alle parentesi R&B di 6 Inch con The Weeknd e soul di Sandcastles. 
E non potevo non citare il sample dei Led Zeppelin e le schitarrate alla White Stripes. Addirittura ci concede una parentesi alternative con James Blake, che (ahi noi) è uno di quegli interlude antipatici dalla scarna e deludente durata di 1.19 min. Daddy Lessons, poi, è un brano dal retrogusto country che meriterebbe di diventare singolo oggi stesso. Ammesso che la strategia commerciale preveda dei singoli ufficiali, perché neppure questo è escluso.

Sebbene il rischio poteva essere quello di scadere nell’effetto “polpettone”, il leitmotiv che fa da sfondo al progetto permette all’album di scorrere in maniera progressiva e crescente. Raggiungendo probabilmente il suo climax in Freedom. Il featuring con Kendrick Lamar (orgasmo puro per le orecchie il momento in cui parte il suo flow) si presenta come un vero e proprio anthem contro la discriminazione culturale.
E quale poteva essere questo leitmotiv?
Ma ovviamente il “negro female empowerment”, evoluzione delle tematiche femministe di cui Beyoncé si era fatta già portavoce nel self-titled precedente. Per serio interesse o per paraculismo, non sta a me deciderlo.
Se nelle prime tracce la voglia di emancipazione e di vendetta viene fuori attraverso la storia (autobiografica?) di corna e tradimenti, in cui Beyoncé impugna una mazza per darle metaforicamente di santa ragione al suo uomo,
nel pezzo con Jack White si cita Malcom X: “The most disrespected person in America is the black woman.  The most unprotected person in America is the black woman. The most neglected person in America is the black woman.”
D’altronde già la stessa FORMATION era un attacco diretto al dipartimento di polizia di New Orleans.
E nel segmento del docu-film che accompagna FREEDOM scorrono le immagini di tutte le vittime (rigorosamente black e innocenti) della polizia americana.

A quanto pare la prospettiva di narrazione, quantomeno nei brani sentimentali, non è personale.  Per cui nessun antipasto di divorzio, ma semplicemente la storia di sua mamma Tina Knowles – tradita dal marito che ha avuto due bambini da una seconda relazione clandestina.
(E quindi non ci è ancora dato sapere perché Solange ha menato JAY Z nel celeberrimo ascensore. Anche se quel “he better call Becky with the good hair” in Sorry fa pensare proprio alla docile sorellina).

Gridare al capolavoro è come, nella maggior parte dei casi, eccessivo e prematuro. C’è una coerenza artistica di base nel voler guardare oltre e sperimentare, il che a mio parere personale è una nota di merito sempre e a prescindere dal risultato.
Quello che è evidente di LEMONADE è che non può essere scorporato dal docu-film, non se si vuole apprendere a pieno il senso del progetto.
L’amarezza e la dolcezza dell’essere donna di colore e di successo in america.
L’amarezza (e basta) di essere donna di colore senza il successo in america.
L’amarezza e la dolcezza dell’amore che ti fotte anche se ti chiami Beyoncé.
L’amarezza e la dolcezza di una limonata.

 

Angelo Conte, 24.04.2016