LIBERATION è il titolo del sesto studio album di Christina Aguilera, che torna a distanza di sei anni dal precedente Lotus. Un album che ha avuto una gestazione di cinque anni circa e ha lasciato fuori dalla tracklist definitiva collaborazioni con nomi illustri e “garanzie” come Pharrell, Sia, Linda Perry (braccio destro storico di Xtina) e addirittura un duetto registrato con la collega di Lady Marmalade, P!nk.

Perché? Perché se Stripped aveva rappresentato la liberazione dalle maschere e dalle sovrastrutture imposte dalla casa discografica con l’album di debutto che la voleva inquadrata nel filone del bubblegum pop di fine anni 90, Liberation è lo step successivo: il definitivo “voglio cantare e produrre solo ciò che sento in maniera onesta in questo particolare momento della mia vita”. E voci di corridoio sostengono che il lungo periodo di attesa sia stato anche frutto di incomprensioni con la RCA Records che con Lotus era ritornata  ad imporle sottobanco per ragioni contrattuali specifici brani (e l’accozzaglia pop no sense del risultato finale ne era stata la dimostrazione). Non a caso nel mini documentario di presentazione del disco “Where’s Maria?” conclude con un drastico “Fuck it, this is who I am and whoever is not on board can suck my d*ck”.

E quel “suck my d*ck” compare anche sul retro del disco fisico, come sorpresa nascosta al di sotto dello sticker della tracklist appositamente ben piazzato per coprire la frase stampata sulla maglietta. Giusto per sottolineare, per chi non lo avesse capito, che il consenso esterno ha una valenza relativamente determinante  su questo disco.

Liberation è un disco che nasce dunque da un’esigenza probabilmente egoistica: quella di soddisfare se stessa prima che gli altri, soddisfare Maria. Nessun alter ego questa volta: nessuna Xtina di Stripped, nessuna Baby Jane di Back to Basics, nessuna Madame X di Bionic, anche se è inevitabile che qualche tratto di questi “personaggi” si ripresenti qua e là nelle tracce di Liberation. Ma chi è Maria? Maria è il secondo nome di battesimo di Christina, ispirato al personaggio di The Sound of Music di cui Christina riproduce la celebre posa a braccia aperte dell’altrettanto celebre meme “Look at all the fucks I give” sempre sul retro del disco.

11 le tracce effettive introdotte e alternate da quattro interlude per niente lasciati al caso, con una produzione curata sin nel minimo dettaglio sonoro da gente come Anderson .Paak, Kanye West, Che Pope, MNEK, Partynextdoor, per citarne giusto qualcuno. E se due dei singoli tra quelli precedentemente pubblicati (Accelerate e Like I Do) avevano fatto pensare ad un album prevalentemente urban e dalle influenze hip-hop, l’intro orchestrale al disco ci fa immediatamente fare un passo indietro. L’impatto con la strumentale di apertura è il bigliettino da visita a quello che ad oggi si presenta probabilmente come il disco “meno pop” di Miss Aguilera. In Searching for Maria che fa da interludio alla prima traccia effettiva del disco, Christina mette la sua voce a completa disposizione di un verso tratto proprio da The Sound of Music. Ma è in Maria (prodotta da quello stronzo ma al contempo genio dei beat e dei samples che risponde al nome di Kanye West) che Christina ci mette in mano il suo cuore e cerca al limite della frustrazione di renderci partecipi della sua presa di coscienza. “Whe-whe-re is Maria? Why – why – don’t – I – see her”. Il beat è incalzante, la canzone non sfocia mai in un vero e proprio ritornello, ma suona come un pugno allo stomaco campionando un brano dei Jacksons 5 dall’omonimo titolo.

In Sick of Sittin’ composta con Anderson .Paak, Christina dà completo sfogo al suo caratteristico “rasp” vocale in quella che è l’unica parentesi a metà strada tra il rock e il soul del disco. Il brano è stato ispirato dalla figura di Janis Joplin, uno dei riferimenti musicali di sempre della pop diva. Una canzone che è lì perché, più delle altre, si presta alla resa live ed il Liberation Tour partirà in Nord America a fine settembre a dieci anni di distanza dalla fine del Back to Basics Tour.  Metaforicamente è un calcio alla sedia del talent show The Voice dove Christina ha ricoperto il ruolo di coach per diverse stagioni. Per lei un vero e proprio inno, con cui ci avverte che ha ritrovato la vena creativa e non ci farà aspettare così tanto tempo per il prossimo album proprio perché “sick of sittin”.

Dreamers è l’interludio a Fall in Line, il main single del progetto in featuring con Demi Lovato. Si susseguono diverse voci di giovani ragazze e bambine che raccontano cosa vorrebbero diventare da grandi (tra queste anche la voce di Summer Rain, figlia di Christina, e della bimba di Alisan Porter – vincitrice del team Xtina nell’ultima edizione in cui l’Aguilera ha presenziato come giudice). “I wanna be the President” conclude una di queste voci, che si riallaccia al “Little girls, listen closely” – primo verso di Fall in Line. Il brano, accompagnato da un video con uno shade grande quanto la stessa villa di Christina ai fondatori del Mickey Mouse Club e di Camp Rock che compaiono reincarnati in due loschi figuranti, è un empowerment anthem a tutti gli effetti. Invita il gentil sesso a ribellarsi alle convenzioni sociali, a cacciare fuori gli attributi, riprendendo il filone femminista del 2003 della sua Can’t Hold Us Down. Le voci di Xtina e Demi esplodono nella seconda parte, per un finale che per alcuni potrebbe sembrare al limite del “too much” ma che alla fine resta l’unico isolato momento di eccessivo manierismo vocale dell’album.

Right Moves e Like I Do fanno da transizione alla parte più leggera di Liberation. Perché, come la discografia di Christina insegna, la libertà rapportata all’espressione della propria sessualità non deve mai mancare. Il primo è un pezzo dance hall dalle influenze reggae in collaborazione con due newbies della scena: Keida e Shenseea. E qui Christina conferma il suo essere sempre stata una risktaker, oltre che l’intento di appoggiare le nuove generazioni di talenti. Perché, diciamoci la verità, con un featuring di Sean Paul o della neo prezzemolina Cardi B, avrebbe giocato decisamente più sul sicuro. E se la presenza o meno di Right Moves nella tracklist non avrebbe apportato chissà quali danni al concept del disco, lo stesso non si può dire di Like I Do. Anche qui lo zampino di Anderson .Paak rende questo brano terribilmente radiofonico per il trend attuale americano, quantomeno se ti chiami Drake. L’inciso riprodotto dal flauto in sottofondo è la cosa più vicina alla droga che abbia mai sperimentato in vita mia. Il flow di GoldLink indiscutibilmente “Caviar ratchet”, come i produttori Da Internz avevano definito il mood di parte di questo progetto.

Ma è Deserve la vera perla di Liberation. In questa particolare canzone incentrata sulla “meritocrazia sentimentale” al limite del donnamerdismo, prodotta da MNEK e scritta da Julia Michaels, l’Aguilera trasporta la sua voce verso orizzonti mai prima sperimentati. Niente urletto facile, niente manierismi, eppure così coinvolgente da volerla riprodurre in loop fino a perdere i sensi e dimostrare alle varie Selena Gomez di oggi che si può miagolare con criterio. Prossimo singolo. E speriamo che l’Accademy dei Grammys ci stia leggendo.

Twice è LA ballad aguileriana. In realtà all’interno di Liberation ne troveremo solo due, cosa piuttosto singolare per un disco di Christina. Eseguita magistralmente piano e voce, anche questa necessita di far compagnia a Beautiful, Hurt, The Voice Within, Say Something e You Lost Me come singolo ufficiale. Segue I Don’t Need it Anymore, interlude che è a tutti gli effetti una reprise acappella di Sick of Sittin’. Non si capisce perché piazzata in questo preciso momento della tracklist.

La vena urban torna a farla da padrona in Accelerate e Pipe: la prima, prodotta anch’essa da Kanye West, è la grower del disco. I ritmi tribali dell’intro riproducono la voce di Christina “maschilizzata” e distorta quasi a farla confondere con quella di Ty Dolla $ign. La strofa di 2 Chainz ben contestualizzata stilisticamente e non messa lì tanto per allungare il brodo, conferisce un valore aggiunto al pezzo. Di fatto è l’unica uptempo del disco. Il buzz single che, stando ai risultati generali nelle charts, non ci siamo meritati. Pipe invece è puro sesso, la Sex for Breakfast di Liberation che segue il filone delle attuali “whispers ghetto girls” come SZA e Tinashe. Se amate l’rnb contemporaneo sarà la vostra summer jam. Ma la vera domanda è: chi sarà mai questo misterioso XNDA che compare con una strofa nel featuring? Lewis Hamilton, sì quello lì, il pilota di Formula Uno che ha deciso di cimentarsi col rap sotto pseudonimo criptico. Che volete farci, va di moda. Liberato docet.

Chiudono l’album Masochist e Unless it’s with You. Christina torna a cantare d’amore nell’ultima parte di Liberation: prima di quello bastardo e masochista, in quello che di fatto è l’unico pezzo più vicino al “pop puro” nel disco. Gradevole e leggero ma non necessario quanto la ballata finale. “I don’t wanna get married, unless it’s with you” canta l’Aguilera sfoggiando alla massima potenza la sua estensione vocale in questa struggente melodia composta da Ricky Reed ed ispirata alle ballad dell’immensa Aretha Franklin – altro role model di Christina. L’avesse incisa Adele sarebbe già #1 worldwide pur non essendo un singolo.

E proprio Unless lascia quell’amaro in bocca da disco durato troppo poco per gli standard da 16/20 tracce a cui la discografia della pop diva ci aveva abituati. Un disco che vanta una produzione di tutto rispetto, che nulla ha a che vedere col precedente Lotus e che rimanda alla professionalità magistrale di Back to Basics, suo album maggiormente acclamato dalla critica. Un disco che va digerito, assimilato, sicuramente non leggero ma fortemente voluto da chi lo ha cantato e co-scritto. Con la consapevolezza che mostrare le proprie lentiggini e le proprie cicatrici ha un prezzo da pagare, inevitabile per il raggiungimento della piena libertà personale e creativa anche quando non si ha più nulla da dimostrare.